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C’era da sostituire la mitica Alfetta: cosa inventarsi? La Alfa 90, vettura per la quale fu scomodato anche un certo Bertone. Dopo soli quattro anni, però…
… venne sostituita da un altro mito: la 164. Ecco perché è piuttosto facile che di essa se ne dimentichino presto i connotati. A distanza di oltre 35, però, rivedendola bene, è giusto riconsiderare l’Alfa 90 e riconsegnarle quel blasone e quel ruolo di ammiraglia che per pochi anni seppe a buon diritto meritarsi.
L’intervento di Bertone.
Venne affidato a Bertone il difficile compito di disegnare una nuova autovettura che, secondo i dettami impartiti, avrebbe dovuto condividere con la progenitrice Alfetta, oltre che la meccanica, buona parte dell’autotelaio, comprensivo del giro porte. In soli 30 mesi, i designer disegnò un’autovettura a tre volumi aggiornata alle linee tipiche degli anni ’80/90, creando un’immagine diversa da quella che aveva contraddistinto l’Alfetta negli anni ’70. Linee squadrate e tese, maggiore eleganza, piglio meno aggressivo e dettagli più rifiniti sono le caratteristiche che Bertone seppe infondere, pur limitandosi al semplice rifacimento della parte esterna in lamiera.
Per contrastare l’alleggerimento dell’avantreno in velocità, la cosiddetta lift force, i progettisti pensarono a uno spoiler da posizionare sotto il paraurti anteriore le cui elevate dimensioni, oltre a renderlo ben evidente, lo rendevano vulnerabile nelle manovre. La soluzione, molto semplice, fu quella di renderlo retrattile tramite un sistema a molle di contrasto il cui carico era vinto dalla pressione dell’aria e velocità superiori agli 80 km/h. Di questa soluzione ne godette anche il coefficiente di resistenza aerodinamica che col valore di 0,37 risultava inferiore a quello dell’Alfetta.
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L’abitacolo.
Anche l’abitacolo venne reimpostato seguendo il trend dello stile Bertone di quell’epoca, con una plancia piuttosto massiccia; sulla 2500 V6 spiccava, inoltre, un’inconsueta strumentazione optoelettronica a elementi fluorescenti di discutibile gusto e non facile lettura; una peculiarità di estrema raffinatezza era poi la possibilità di avere come optional una valigetta rigida, tipo 24 ore e marchiata Valextra, da mettere in un apposito vano della plancia.
Il debutto.
L’Alfa 90 debuttò al Salone dell’Automobile di Torino nell’autunno del 1984. Meccanicamente era figlia dell’Alfetta: disposizione transaxle con motore anteriore longitudinale, trazione posteriore col gruppo cambio-differenziale posizionato al retrotreno, sospensioni anteriori a quadrilateri, ponte posteriore De Dion, freni a disco sulle quattro ruote con quelli posteriori in-board ovvero montati all’uscita del differenziale per ridurre le masse non sospese.
Sotto il cofano, gli affidabili bialbero a 4 cilindri di 1.779 e 1.962 cc, il V6 bialbero di Busso da 2.492 cc ed un 4 cilindri turbodiesel di 2400 cc che l’Alfa Romeo acquistava dalla VM Motori di Cento, in provincia di Ferrara.
I motivi per ritenere l’Alfa 90 un’Alfa Romeo da collezione non mancano di certo, e la sola sfortuna dell’Alfa 90’ è stata quella di essere stata un modello di transizione tra l’Alfetta e la 164. Tuttavia questo non è un motivo valido per dimenticare un’automobile che oggi è ancora attualissima sul piano tecnico e, come testimone di un periodo stilistico anch’esso di transizione, esteticamente molto affascinante.
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Pierluigi - 25 Aug 2021
La mia è una Alfa 90 2.0 V6 Cem. Custodita da 25 in box e non tocca asfalto da allora. Un gioiello.