Classic Aston Martin DB5: il mio nome è Bond. James Bond!
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Per chi non lo sapesse, la sigla DB sta per David Brown, l’uomo che nel 1947 acquistò il marchio Aston Martin che raggiunse il suo massimo splendore proprio con la popolarissima DB5. 

Si trattava della logica evoluzione delle quattro generazioni di vetture che l’avevano preceduta e che avevano raggiunto la piena maturità con la DB4 e la DB4GT sotto il cui cofano pulsava il 6 cilindri in linea di 3.670 cc progettato da Marek Tadek.

Che motore!!!

Un motore molto “affezionato” a centimetrici cubici e ai cavalli, tanto da essere già stato portato a 3.991 cc sulla DBR2 da corsa. Nel 1963, uscita di scena la DB4, toccò alla DB5 raccoglierne il testimone presentandosi con poche modifiche estetiche ma con il 6 cilindri portato al limite dei 4.0 litri, dotato alberi a camme con profili simili a quelli da corsa e alimentato da tre carburatori SU HB8. Aston Martin dichiarava oltre 280 CV e lo accoppiava a un cambio a quattro marce più overdrive oppure, inizialmente in opzione e poi di serie, un cinque marce ZF.

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… e poi venne l’agente 007.

Ian Fleming scrisse Goldfinger nel 1959 e in quella storia immaginò l’agente 007 al volante di una Aston Martin, che ovviamente non poteva essere una DB5. L’uscita del film fu pianificata per il 1964 e quando i produttori decisero di rivolgersi alla Casa inglese capitarono proprio nel periodo di transizione tra la DB4 e la DB5. L’idea era quella di allestire una DB4 GT Zagato, ma visto l’arrivo della nuova, fu deciso di allestire due DB5, anzi, una era il prototipo derivato da una DB4 Vantage e l’altra una vettura di inizio produzione. Fu un bel miscuglio magico.

Entrambe colorate in Silver Birch, sembravano gemelle, anche se solo la prima, targata BMT 216A, ebbe tutti i gadget che la rendevano un’arma letale per gli avversari di James Bond.

Aston Martin DB5: com’era.

Al centro, tra i sedili, un coperchio nascondeva  una serie di interruttori che comandavano tutti i dispositivi di attacco e difesa; i rostri dei paraurti erano estraibili per speronare le altre auto; una piastra verticale sollevabile proteggeva dai proiettili il lunotto; dalle luci di posizione anteriori uscivano dei cannoncini e dalle posteriore olio e chiodi per rallentare gli inseguitori; le targhe ruotavano a comando su tre posizioni differenti e i gallettoni delle ruote posteriori potevano uscire per tagliare gli pneumatici agli avversari, tipo le bighe della famosa giostra finale del film Ben Hur, interpretato dal grandissimo Carlton Heston.

Ovviamente nelle scene dinamiche c’era molta finzione, ma in generale tutti questi ‘accessori’ funzionavano, anche perché Goldfinger aveva un budget immenso (si parlava di circa 3 milioni di dollari) recuperato dopo solo un paio di settimane di proiezione.

In seguito altre due DB5 ‘Goldfinger’, allestite per scopi promozionali, portarono a quattro le vetture con quelle caratteristiche uniche, ognuna delle quali seguì strade diverse ma tutte rivolte al collezionismo di altissimo livello

Aston Martin DB5: show must go on

Qualche anno fa la Aston Martin decise di riprendere la storia della DB5 ‘Goldfinger’ da dove si era interrotta, allestendo 25 esemplari di esatte repliche di quella vettura leggendaria, costruita, nella versione di serie, in circa 900 esemplari.

Tra le caratteristiche tecniche degne di nota di queste “nuove” DB5, il telaio tubolare rivestito di pannellature di alluminio battuto a mano, il motore 6 cilindri in linea aspirato da 4,0 litri e 290 CV accoppiato a un cambio manuale ZF a cinque marce, la trazione posteriore con differenziale autobloccante. I freni a disco idraulici sono dei Girling, lo sterzo a pignone e cremagliera non ha servoassistenza e le sospensioni riproducono fedelmente le originali, per restituire a chi ha la fortuna di possedere una di queste vetture le stesse sensazioni di guida che si provavano negli anni ’60. Le prime consegne ai clienti delle DB5 Goldfinger Continuation sono avvenute nel corso del 2020.  

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