Moderne Fiat Bravo MY2010: tu mi “Turbi”
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Vi ricordate la vettura che introdusse il concetto di “downsizing” nella gamma di motori a benzina del gruppo Fiat? La Fiat Bravo. Che aveva sotto il cofano il FIRE turbo T-Jet.

E’ un piacere parlare di “downsizing”, Turbo, benzina, pistoni e cm3, soprattutto in questo periodo dove pare contino solo lavastoviglie, lavatrici e fornellini elettrici. Forse sarò una nostalgica, una che vive di ricordi ma di certo, alla solo parola “Turbo”, riesco ancora ad emozionarmi e mi viene la voglia di mettermi al volante per spararmi centinaia e centinaia di chilometri. Magari anche di una “vecchia” Fiat Bravo…

All’inizio del nuovo millennio (ma anche qualche anno prima) nessuno l’avrebbe immaginato: il motore turbocompresso, per quanto migliorato ed adeguato alla grande serie nell’arco vent’anni precedenti, veniva ancora visto come un “ordigno” per appassionati, assetato, scorbutico e potenzialmente inaffidabile. Il che, per quelle che erano le sue principali incarnazioni dell’epoca, era anche abbastanza vero. Da allora, però, molto è cambiato: le autovetture sono diventate sempre più sicure ed accessoriate, quindi anche più pesanti, mentre l’accresciuta attenzione dei Paesi industrializzati alle tematiche ambientali si è tradotta in normative antinquinamento sempre più severe. I motoristi di tutto il mondo hanno fatto quello che potevano per cavare il massimo dai tradizionali aspirati, ottenendo anche in qualche caso ottimi risultati. Il responso su scala globale, tuttavia, è stato lapalissiano: non si può chiedere ad un Otto aspirato da 1.4 o 1.6 litri, per di più strozzato dall’Euro 5, di muovere efficacemente (e figuriamoci poi sportivamente) vetture che superano spesso i 1.500 kg di massa reale.

Proprio in questo scenario, sviluppatosi tra la fine degli anni ’90 e i primi cinque anni del nuovo millennio, che ha visto esplodere il fenomeno dei turbodiesel: favoriti dalla loro immensa coppia a medio regime e dai consumi contenuti, si sono rivelati l’opzione migliore per la maggioranza della clientela. Negli ultimi anni però il diesel ha vissuto una fase di parziale “stanca”: le normative antinquinamento hanno iniziato a penalizzarlo come mai era stato prima, e dispositivi complessi come il filtro antiparticolato ne hanno intaccato l’efficienza energetica, ponendo le basi per una rinnovata competitività del motore a benzina. Quella della sovralimentazione “popolare” anche per il benzina è stata così una scelta consequenziale: motori più piccoli degli aspirati uscenti e quindi con meno attriti interni, con coppie specifiche da turbodiesel e a regimi contenuti. Saltò fuori il termine “downsizing” ed è la strada che tutti o quasi tutti seguirono. Una cosa che non è stata fatta notare molto spesso è che il gruppo Fiat, in questo processo, è arrivato tra i primi assoluti: il lancio del motore 1.4 T-Jet risale ormai a metà 2007, poco dopo quello di motori similari Volkswagen e BMW. Non male per un’azienda che in quel periodo stava uscendo dalla peggiore crisi della sua storia. L’auto che per prima lo ha portato sulle strade fu la Fiat Bravo, ed in occasione della “mezza età” di questo modello vale la pena di ricordarne le qualità.

Il FIRE, acronimo di Fully Integrated Robotized Engine, nacque a metà anni ’80 da un programma condiviso con Peugeot, che si ritirò però dalla partnership a causa di scelte industriali differenti. L’idea che stava alla base del progetto era ancora una volta la “smart simplicity”: un motore innovativo che potesse essere assemblato interamente in fabbriche robotizzate (Termoli, nella fattispecie) senza alcun intervento umano, il più elementare, economico, compatto e leggero possibile, ma al contempo più parco e pulito dei vecchi monoalbero che andava a sostituire. L’obiettivo, certo non banale da conseguire, fu centrato tramite un ripensamento totale di ogni singolo organo del propulsore, riducendo anche fortemente il numero dei componenti fisicamente coinvolti nell’assemblaggio (viti, bulloni, staffe, etc.). Il primo frutto di questo fortunato processo fu il FIRE da 999 cm3 che, montato sulla Uno, finì per divenire una specie di “marchio nel marchio” per il gruppo Fiat.

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Il progetto però andò ben più in là di quella singola incarnazione da 999 cm3: era destinato ad una lunga e fortunata carriera, che lo vide prima scendere a quota 750 cm3 e poi salire a 1.108 cm3, a 1.242 cm3 e a 1.368 cm3, guadagnando progressivamente una testata bialbero a sedici valvole, il variatore di fase ed infine, in tempi recenti, prima il turbocompressore e poi il raffinatissimo variatore d’alzata valvole Multiair. IL T-JET Per quanto riguarda nello specifico la versione turbocompressa, per l’appunto il nostro T-Jet, prodotto nei livelli di potenza di 120 CV e 150 CV, si è scelto esplicitamente di non complicare troppo il propulsore: era assolutamente fondamentale, infatti, portarlo sul mercato in soli 18 mesi dalla data di inizio del programma, in tempo per il lancio del nuovo segmento C (la Bravo, appunto) e, inoltre, doveva rimanere un’unità semplice e relativamente economica da produrre. Per questo non si sono adottate né l’iniezione diretta (prescelta invece dai rivali Volkswagen TSI) né la fasatura variabile, disponibile invece per i FIRE aspirati, scegliendo come base di partenza il 1.368 cm3 sedici valvole da 90-95 CV equipaggiante peraltro anche la versione base della stessa Bravo. La struttura del motore naturalmente è stata completamente rivista, e d’altra parte viste le elevate pressioni previste in camera di scoppio (95-100 bar) e nell’ottica del quasi raddoppiamento della coppia e della potenza erogate, non c’era altra scelta possibile. Il manovellismo, in particolare, è tutto nuovo e prevede un più rigido e resistente albero motore in acciaio al posto del precedente in ghisa, e nuove bielle “fratturate”: in pratica la biella “nasce” in un solo pezzo, per poi venire per l’appunto fratturata a livello della testa da un perno a dilatazione idraulica.

In questo modo l’accoppiamento tra le due parti della testa di biella è rigido, preciso ed esente da tensioni parassite, in quanto avviene tra i due fronti della frattura perfettamente combacianti. Questa tecnologia di per sé non è certo nuova: BMW, ad esempio, la utilizzava da molti anni per i suoi migliori propulsori e anche Fiat stessa la sfruttava da tempo per le unità turbodiesel più potenti. E’ però una novità la sua applicazione su di un piccolo quattro cilindri destinato al “basso di gamma”. Sostituiti anche i pistoni, ora in lega di alluminio e decompressi rispetto agli elementi originali, anche se non significativamente. Si tratta di una delle caratteristiche più intriganti di questo motore e forse il segreto principale del suo notevole rendimento energetico: il rapporto di compressione è infatti decisamente elevato per un turbo, ben 9,8:1, un valore quasi da aspirato (in effetti lo stesso del primo, storico FIRE 999 cm3 aspirato) e storicamente incompatibile con i problemi di detonazione agli alti carichi tipici dei sovralimentati.

Turbo da pelle d’oca. Il risultato finale, come accennato all’inizio, è un motore turbo, sì, ma molto differente dallo stereotipo a cui le case automobilistiche ci avevano abituati nel passato. I dati esatti di potenza e coppia parlano rispettivamente di 120 CV a 5.000 giri/min o 150 CV a 5.500 giri/min, e per entrambi i motori di 206 Nm, a 2.000 giri/min o 2.250 giri/min, ma quello che conta è che la coppia viene erogata progressivamente e con dolcezza fin da 1.500 giri/min, senza bruschi contraccolpi e senza alcun percettibile ritardo di risposta del turbocompressore, tanto che si potrebbe quasi scambiare il T-Jet per un grosso aspirato a bassa potenza specifica, un due litri, o anche qualcosa di più consistente ancora. Per la Bravo T-Jet da 120 CV questo significa andare da 0 a 100 km/h in soli 9,6 secondi, tempo ottimo se paragonato, ad esempio, a quello di un aspirato di pari potenza massima come il vecchio 1.6 Twin Spark dell’Alfa Romeo 147 (10,6 secondi). La Bravo T-Jet 150 CV, ancora più prestante, dichiara un valore di 8,5 secondi che per la versione Sport scendono ad 8,2. Questo allestimento, infatti, oltre ad un assetto più rigido, disponeva anche di una seconda mappatura dell’elettronica attivabile tramite un pulsante sulla plancia: in questo modo il picco di coppia massima sale fino a 230 Nm consentendo il guadagno prestazionale in accelerazione. La sola pecca ravvisabile in queste unità riguarda la scarsità di allungo agli alti giri, per via della quale anche sul motore da 150 CV, che dei due è quello più propenso a girare “alto”, non conviene praticamente mai salire oltre i 5.500 giri/min.

Mettono tutti d’accordo invece i valori di consumo, dove l’elevato rapporto di compressione, la piccola cilindrata ed i rapporti del cambio lunghi consentiti dalla notevole coppia fanno sentire tutti i loro benefici effetti: 7,1 l/100 km nel ciclo combinato per il 150 CV e 6,7 l/100 km per il 120 CV sono valori fino a qualche anno prima impensabili per motori a benzina di queste prestazioni.

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