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Il mio navigatore, il Naviga, al tavolino dei commissari, si gira verso di me e fa segno di avvicinarmi.Lo faccio, mi approssimo con l’auto in modo che lui possa risalire. Sono attimi di attesa, una routine che scandisce tempi, come un insolito direttore d’orchestra che coordina aspetti non meno importanti di ciò che avverrà dopo, l’incipit di ogni giornata di gara, che indipendentemente dal risultato è comunque sempre straordinaria.
La balaclava mi fascia il volto. So di avere allacciato bene il casco. I guanti li ho infilati con metodo, senza fretta, prima il sinistro e poi il destro, ci conto sempre in questo atto, è un rito scaramantico che sento proteggermi e per questo ogni volta si ripete. In fondo ognuno di noi ne ha uno, anche i grandi campioni hanno le loro manie: Ascari correva solo con il suo casco e i suoi guanti, sempre quelli; Nuvolari indossava una spilla con la tartaruga; Niki Lauda inseriva nei guanti, in fondo alle dita, delle monetine; altri portano delle immagini sacre, insomma a ciascuno il suo.
Il Naviga apre la portiera e si accomoda sul sedile di destra, ancora i soliti gesti che si ripetono: gli porgo le cinture a quattro punti che dovrà allacciare. Io sono già legato.
Colleghiamo l’interfono e proviamo a dialogare: «Mi senti? Mi senti?»
«Okay. Ci sono, ci sono».
Ci avviciniamo alla partenza della Prova Speciale.
Il Naviga tiene il quaderno delle note e la matita per apportare le modifiche in corsa. Ha la tabella dei tempi da riconsegnare ai commissari e ai cronometristi. Lui è il mio alter ego, capisce di me anche il mezzo respiro, ogni mio silenzio. Siamo quella completezza che in gara ti rende la protensione di un’unica mente, lo slancio al traguardo di un solo corpo.
Io stringo il volante. Sono tempi infiniti di un’attesa che accelera dentro di me il desiderio dello scatto. Vorrei già mangiare la polvere, seguire il ritmo del mio cuore che più incalza più mi spinge a desiderare di correre, a manetta.
La vettura prima di noi è pronta allo starter. Trenta secondi. Il motore comincia a salire di giri, poi si accende il semaforo e in uno stridore di gomme e fumo dallo scarico l’auto parte.
Ora tocca a me, a noi. Proseguono i controlli, tiro le cinture una, due, tre volte. Il Naviga mi ricorda la strada che si aprirà davanti a me. Trenta secondi. Questa volta i miei trenta secondi. Accelero a vuoto, scaldo il motore. Quindici secondi. Tolgo e metto la prima marcia, tiro e rilascio il freno a mano. Dieci secondi. Guardo il semaforo. Dentro la prima, freno a mano tirato porto il motore su di giri, come chi ci ha preceduto. Comincio ad accelerare sempre di più. Cinque, quattro, tre, due, uno, vai vai vai!
Il Naviga è puntuale con le informazioni, lo deve essere: cento destra, quattro in sinistra, tre per destra, taglia sinistra cinquanta e al cartello tornante sinistro.
Se penso ai rally, ai miei sedici anni di gare, questo è il ricordo più potente, più emozionante che ancora mi inebria. Poi le gare in notturna, con il fascino dei fari che tagliano a lama la notte, il buio ignoto che avvolge l’equipaggio, ti abbraccia. È come essere dentro un tunnel dove tutto è ovattato e accelerato in modo vorticoso.
Affiorano da una vita, purtroppo lontana, le parole scambiate con gli altri protagonisti del parco giochi, le strette di mano, i sorrisi, i consigli, i confronti e tanta tanta sportività.
In questi anni di corsa ho potuto scoprire posti ai più sconosciuti, vallate di verde smeraldo, scorci magici su laghi di montagna e amici, tifosi in ogni curva, su ogni tornante, a ogni partenza o arrivo pronti a gioire, a tifare per te pur non conoscendoti, ma anche per tutti gli altri, solo per il gusto di essere lì a godere della passione genuina dei motori.
Cosa mi manca di più di quel periodo? L’adrenalina, il rischio e l’incoscienza, l’odore di benzina e la puzza di freni e gomme bruciate. La stanchezza a gara terminata, la soddisfazione della coppa o solo di essere arrivati alla fine. Forse anche il tempo che è passato e che non torna.
Se mi volto indietro vedo un ragazzo come tanti con il fuoco nel petto che arde per le auto, per i rally, perché come diceva Steve McQueen: la vita è correre. Il resto è solo attesa.
Carlo Sansone (ex pilota di rally)
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Marco - 03 Jul 2021
Grande articolo complimenti