Storie Quando i sogni diventano realtà
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Premetto che sono cresciuto a pane e Porsche, tuttavia devo riconoscere con tutta onestà che la Porsche l’ho in un certo qual modo subita. Poco dopo la mia nascita, nel lontano dicembre 1970, la cicogna fu foriera di doni. Oltre al sottoscritto pochi mesi dopo portò anche una meravigliosa Porsche 911 s passo corto bianca. Ma di questa ne parleremo in una puntata successiva. Mio padre era un Cultore dei motori. Spaziava dalle moto alle auto. Delle moto annoverava nel suo garage un Ceccato 75 cc da competizione ed un Ardito 75 cc, unico esemplare “vivente”, costruito a Stradella. La Passione per le auto veniva alimentata dall’annuale Circuito Automobilistico di Caserta passato poi alle cronache per la morte dello svizzero Beat Fehr e degli italiani Geky Russo e Romano Perdomi. Quella tragedia mise fine ai circuiti cittadini. Fatta questa debita premessa capirete bene perché sono stato condannato sin dalla nascita a non amare il calcio bensì tutto ciò che sa di olio e benzina.

Intanto crescevo. Muovevo i primi passi in sella alla bici, per passare poi ad una moto da cross di 50 cc e finire per guidare a 7 anni la Fiat 500 c di mio nonno. La svolta alla mia Passione, ma specificamente al restauro delle auto d’epoca, avvenne nel 2004. Quel mese di maggio mio padre morì. Sotto il suo letto rimase il muso della 356 A Porsche del 1959. La stava restaurando. Dopo vari tentativi esterni e forte delle reminiscenze dei pomeriggi in garage con lui, mi convinsi che avrei potuto farlo io direttamente. E con le mani d’oro di un vecchio battilastra più sordo di una campana iniziammo il restauro. Nel frattempo mi colpì una scena del film “Ieri, oggi e domani” in cui la Sofia nazionale si accompagnava con Marcello Mastroianni alla guida di una Rolls Royce. Qualcuno ricorda forse la scena del tamponamento. In quel momento sopraggiunse una Ferrari California rossa guidata da un industriale interpretato dal maestro Armando Trovajoli. Lei vi salì trascinando la sua pelliccia e scapparono via. Intanto la radio trasmetteva la quotazione dei titoli di borsa. Erano i mitici anni 60. Che bello sarebbe avere una Ferrari California, pensai. Un sogno. Mi accontentai di acquistare un’Alfa Romeo Touring 2000 Spider del ‘59. Rossa, ruote Borrani, ma pur sempre un’Alfa. Pesante, lenta. Se non fosse stato per la linea, sembrava una lumaca.
Intanto il mio garage si arricchiva di mese in mese di auto. Pantera De Tomaso, Maserati 3500 Touring, addirittura due. Era il febbraio del 2009. Quel giorno ero in studio. Ah dimenticavo di dirvi che sono un avvocato penalista. Squilla il cellulare e dall’altro lato del capo un francese. Un broker. Mi chiede se fossi intenzionato ad acquistare una Ferrari spider degli anni 60. Logicamente la mia risposta fu assolutamente sì! Mi disse che in Francia ce n’era una ma che non ne conosceva il modello. Ottimo, pensai. La cosa bella, tuttavia, fu un’altra: avrei dovuto trovarmi l’indomani mattina a Parigi per le 6.30. In un batter d’occhio mi organizzai. Primo aereo disponibile da Roma Ciampino a Beauvais alle ore 21.00. Prenoto subito. Uno zaino con spazzolino, camicia e boxer di ricambio. Stop! Uscendo dallo studio dico a mia sorella, anch’ella avvocato, che sto partendo per la Francia per vedere una Ferrari. Erano i giorni della caduta della Borsa, il crac della Lehman Brothers negli Stati Uniti. Anch’io perdevo. Lei sentenziò: “Ma come? Con i soldi che stai perdendo ti compri una Ferrari? Sei un pazzo!”. Mi tirai la porta e andai in aeroporto.
La sera tardi ero in Francia. Dopo una notte insonne, alle 6.30 del mattino mi recai all’appuntamento. Ma perché a quell’ora? Poi lo compresi. David fu puntuale. Eravamo in un bar. Io avevo noleggiato una Twingo Renault. Firmai un contratto con le sue percentuali. Poi scoprii il perché di quell’ora: la Ferrari era a Reims. Parto e nel pomeriggio giungo in città. Appuntamento modello 007. Un uomo con i baffi alla guida di un’auto rossa ferma su un rondeau stabilito, con le quattro frecce accese. Lo seguii finché giungemmo in una stradina davanti a una cancellata verde. Era l’ingresso di un complesso dove si produceva champagne. Un ragazzo alto, biondo, mi venne incontro. Aprì uno dei cancelli. Mi ritrovai davanti a un 250 convertibile seconda serie, una Jaguar MK2 e una Maserati Mistral 4000 rossa. Dopo una settimana la macchina era nel mio garage. Era una Ferrari cabrio del 1960, la stessa che Porfirio Rubirosa guidava a Parigi nel 1962 ed alla cui guida morì schiantandosi contro un albero.
Ma come si compra una Ferrari? Quando la stavo esaminando a Reims mi accorsi che l’unica parte di colore diverso era il cruscotto. Grigio. E come vedere se fosse realmente un cabrio? Solo la Ferrari ce lo avrebbe potuto dire. Allora, con un escamotage, chiamai la Ferrari e spacciandomi per un giornalista di una testata specializzata chiesi a quale modello appartenesse quel numero di telaio perché ne sarebbe dovuto uscire un servizio importante e non volevamo commettere errori. Dopo qualche minuto la risposta mi confortò. Era una cabriolet. Venduta in Francia. Hurrà. Ma le sorprese non mancarono.
Il motore fu da rifare completamente: albero, cilindri e pistoni nuovi. Poi misi mano alla carrozzeria. Nel corso dei lavori emersero dei dettagli particolari: l’autovettura presentava in origine gli specchietti sui parafanghi anteriori, gli interni erano di cuoio rossi e non neri come quelli che avevo trovato. Un grigio conchiglia meraviglioso. Borrani mi restaurò i cerchi in modo che… quando il corriere me li consegnò sembravano lampadari di cristallo. Splendenti. Una vera meraviglia. Una volta assemblata era uno spettacolo.
Il motore 12 cilindri era finito nelle mani giuste. In 10 anni mai un problema. Il cruscotto era rimasto quello suo, in cuoio nero originale. Un po’ consumato. Il volante in legno così com’era. Non potevano essere cancellate le impronte di chi l’aveva amata per tanto tempo. Mi sarebbe sembrato un sacrilegio.

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Ogni qualvolta ho comprato un’auto ho sempre fatto in modo che la storia del vecchio proprietario non venisse cancellata. Una vettura è bella perché porta con sé tante storie e tante vite diverse. Quante volte avrà visto sedere una bella donna sul sedile del passeggero. Sfilando per le vie francesi. Casomai sulla Croisette di Cannes. Per le curve di Montecarlo. Avrà visto la nascita di un amore. Il primo bacio. Il fascino del playboy. Nella vita di un’auto ci sta tutto questo. Amore, Passione, Velocità ed anche Emozione. Anzi Emozioni prima di tutto.
Vi ho lasciato ai fori sul parafango. Ricordate? Vedendo un film di Peter Sellers, la Pantera Rosa, c’è una scena passata alla storia: l’inseguimento dell’ispettore Clouseau. Tra quella vettura e la mia ci stavano molte similitudini. Colore, interni e poi gli specchietti sui parafanghi. Inizio una breve indagine sulle 250 vendute in Francia. D’altronde delle 200 prodotte molte erano finite negli Usa. Poi in Europa. Ebbene la mia con un alto grado di probabilità era quella dell’inseguimento.
Dal 2011 mi ha accompagnato in giro per l’Italia. Ad esser sincero era un po’ lunghetta. D’altronde con poche decine di centimetri in meno sarebbe stata una California. Altra storia! Ma a lei sono legati momenti fantastici della mia vita. Concorsi d’eleganza, il Giro di Sicilia, il Gran Tour delle Marche ma anche tante uscite private. Ricordo che un pomeriggio d’estate dovevo andare a Viterbo da un collega. Era un sabato. Caldo. Ma cosa c’è di meglio della BMW serie 7 super comoda? Semplice: una Ferrari cabrio senza aria condizionata. Con la chioma al vento. Si badi che sono calvo. Ah Ah Ah! Il collega di Viterbo mi chiese come avrebbe fatto a riconoscermi. Gli risposi che mi avrebbe sentito da lontano.
E poi i ricordi legati alle figlie. Un giorno io e Bianca, mia figlia allora tredicenne, andammo alle Svolte di Popoli. Per strada viaggiavamo chiusi. All’improvviso, all’altezza di Sora mi fermai. Le dissi che volevo viaggiare aperto anche con la pioggia. Lei guardò quel papà un po’ matto. Si mise una bandana. Aprii la capotte e superai i 60 kmh. La pioggia non entrava. Magia. Lei estasiata. Un’esperienza unica. Condividere un’uscita tutta nostra e per giunta sotto la pioggia. Quello è un ricordo scolpito nel tempo. Sulle Svolte di Popoli la feci divertire. Ci scattarono una foto con la Ferrari quasi su tre ruote in una curva. Quel giorno la più grande vittoria fu che mia figlia iniziò a condividere la mia passione.
La Ferrari ha occupato il mio garage per un decennio. Un periodo ricco di eventi ma anche di semplice osservazione. Spesso mi fermavo a guardarla incantato. Le sue linee. La matita di Pininfarina scorre naturale. Dettagli che ne fanno un’icona degli anni 60. Certo è stata dura vedersela con la California, ma la California aveva certamente un pubblico diverso. Direi quasi più artistico. Non a caso è ritratta con Delon ed altre bellezze maschili che all’epoca imperversavano nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. A ben riflettere non credo che possano esistere più auto di questo fascino. Oggi il design è omologato. Guardando le Ferrari degli ultimi dieci anni sono grossomodo uguali. Ma quelle degli anni 50 e 60 sono altra storia. Fatte per pochi eletti. Quelle attuali di numero pari allo stesso dei giocatori di calcio. Oggi avere una Ferrari, per un calciatore, è un modo per dire “sono arrivato”. Un tempo no. La Ferrari aveva un altro fascino. Quasi discreto. Il clou lo raggiungeva Agnelli nel decidere l’abbinamento dei colori. Blu e verde. Verde e rosso rubino. La differenza tra i “personaggi” di oggi e quelli di ieri risiede essenzialmente nella sobrietà e nella classe. Un po’ come l’orologio tempestato di brillanti. Non mi è mai capitato di vederlo al polso di una persona chic. Diversamente è al polso dei parvenu o di chi ostenta ricchezza non potendo fare altrettanto con la Cultura.
Penserete, forse, che io sono snob o classista. Assolutamente. Io sono un diversamente discreto. Cosa significa? Che se posseggo un qualcosa non necessariamente quel qualcosa di qualità debba avere un nome. Altrimenti non sarebbe nata la Pagani. Che dire. I tempi cambiano. Vige la legge dei grandi numeri e perciò non vedo nuove 250 GTO all’orizzonte. Oggi il mondo è della globalizzazione. Tutto è di tutti. Spero di non avervi annoiato con queste mie elucubrazioni. Sono semplici considerazioni di un cinquantenne con le mani sporche di grasso.

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