Legzira - Tan Tan Plage (220 km. - Asfalto) 24 dicembre 1989
Sveglia lenta. Il tempo non è bellissimo e tira vento ma questa spiaggia è splendida e dopo aver smontato il campo andiamo a farci due passi. Verso sud una punta che interrompe la spiaggia sotto la quale si apre un immenso arco. Girovaghiamo un po' con poca voglia di rimetterci in viaggio. Ma dopo aver esaurito il secondo rullino ripartiamo verso Sidi Ifni. Ex enclave spagnola ha un carattere tutto suo. L'architettura fonde la tradizione marocchina con quella del sud della Spagna ed il risultato è semplice ed armonioso. Sulla piazza principale su cui si affacciano alcuni edifici di aspetto più coloniale troviamo un bar e facciamo una lauta colazione. Mentre ci immergiamo nel silenzio che ci circonda un timido sole appare a scaldarci le ossa. Momento di pace.
Motore! Abbandoniamo Sidi Ifni seguendo l'asfalto che porta a Guelmin. In mezzo a colline abbastanza verdi costellate di villaggi e piccoli souk, la strada si insinua nell'interno fino a quando tornano il piatto e l'arido a farla da padrone. Guelmin è una città polverosa e poco interessante. Ce la lasciamo alle spalle correndo verso TanTan.
I grandi spazi che si aprono davanti a noi annunciano la zona desertica. Siamo presto al controllo posto alla fine del ponte sul fiume Draa. Solita trascrizione dei dati del passaporto sul librone dei militari e via, verso TanTan. Un po' di traffico, molti carretti, poche auto, qualche pickup. Facciamo il pieno e proseguiamo per TanTan Plage ma arrivativi troviamo tutto chiuso. Anche il camping che la Guide du Routard dava come sempre aperto. Il posto non ci piace molto e decidiamo di sfruttare l'ora di luce che abbiamo ancora per proseguire.
La strada scorre sulla falesia che strapiomba sul mare, a circa 200 metri di distanza. Ogni tanto vediamo delle tracce di veicoli che si portano verso il bordo e ad un certo punto decidiamo di seguirne una. Posticino inatteso. Le tracce scendono di uno scalino la falesia e portano ad un bellissimo piazzale a picco sul mare. Siamo protetti da vento e sguardi indiscreti ed Alex si lancia nella soup di aragosta in scatola promessaci, con sullo sfondo un tramonto pieno di rossi, arancioni e viola.
Tan Tan Plage - Layoune Plage (301 km. - Asfalto) 25 dicembre 1989
Ci addentriamo finalmente nel Sahara Occidentale. Al confine, al posto di sbarre e controlli un monumento ricorda la "Marcia Verde", atto che ha dato il via all'occupazione formale delle truppe marocchine. Incontriamo rarissimi fuoristrada e camion di locali; i primi sono vecchie Land Rover che viaggiano tra i 50 ed i 70 all'ora, i secondi sono quasi esclusivamente degli sbuffanti Berliet che.. viaggiano.
Per distrarci da questa monotonia fatta di lunghi rettilinei e assenza di punti di riferimento il cielo si diverte con diluvi e vento teso. Credo che una tale quantità d'acqua nel Sahara Occidentale non la vedessero da anni. Il nastro d'asfalto è in parte in pessime condizioni: velocità massima per non saltare come canguri 80 kmh. In pratica si corre su una superficie che è costituita dal rattoppo del rattoppo del rattoppo dell'asfalto originale. L'andazzo è così fino quasi a Layoune dove giungiamo nel pomeriggio. Grandi controlli all'ingresso, qualche negozio abbastanza fornito (tranne che di birre, con grande scorno di Francesco) e alcune costruzione nuove di pacca, come il modernissimo e deserto aeroporto. Facciamo un bel pieno ed usciamo dalla città proseguendo verso sud ovest. La strada corre tra dune mobili che ogni tanto invadono l'asfalto che però qui è più recente e di conseguenza scorrevole.
Giunti al bivio per Layoune Plage deviamo. Arriviamo in una città fantasma. Tante casette in buona parte in costruzione. Qualche insegna ed una spiaggia lunghissima fatta di ciottoli. Probabilmente un luogo di villeggiatura estiva per i funzionari governativi di Layoune. Dopo aver amabilmente conversato con dei ragazzi spuntati fuori (come sempre) dal nulla, sistemiamo le tende e la cucina tra dei muretti di cemento grezzo, al riparo dal vento. Francesco da bravo geologo si mette ad esplorare i ciottoli della spiaggia e ne trova alcuni al cui interno ci sono dei cristalli. Alex intanto ha indossato i panni dello chef e prepara la sbobba serale che consumiamo dopo aver assistito ad un tramonto dai colori spettacolari.
Layoune Plage - Campo a sud di Boujdour (225 km. - Asfalto) 26 dicembre 1989
Il tempo è sempre instabile ma un pochino più asciutto dei giorni precedenti. Con molta calma carichiamo i bagagli e ritorniamo sulla strada principale. L'asfalto è a tratti pessimo ma ormai siamo abituati e solo chi a turno sta seduto sulla panchetta posteriore finisce la giornata con il fondoschiena debitamente massaggiato.
Incontriamo qualche mezzo: dei taxi Mercedes stipati fino a scoppiare che viaggiano a velocità folli, qualche Berliet sbuffante ed alcune Land Rover 109 di locali dai colori stinti dal tempo e dal sole.
Ogni tanto qualche piovasco bagna la strada e piccoli gruppi di cammelli selvatici approfittano delle pozze d'acqua che si formano nei buchi dell'asfalto. Sparuti cartelli indicano improbabili incroci ed ogni tanto una leggera curva posta al fondo di interminabili rettilinei viene segnalata con dei grandi cartelli in cemento alti due metri. E' una precauzione necessaria: all'esterno di queste curve molti relitti contorti testimoniano del fatto che i guidatori locali si fanno sorprendere da queste lievi correzioni di traiettoria (soprattutto dai colpi di sonno, immagino).
Ogni volta che incrociamo un mezzo notiamo che i conducenti fanno un gesto che sulle prime ci sembra un saluto. Più tardi ci verrà spiegato che non è quello che sembra. Infatti, essendo il nastro d'asfalto stretto, quando si incrocia si è costretti a mettere due ruote sul margine esterno in terra e quello che ci pareva un amichevole saluto in realtà non è altro che una precauzione: appoggiando con forza la mano sul parabrezza si riduce la possibilità che una pietra sollevata dal veicolo che si incrocia possa romperlo.
Superiamo Boujdour ed i relativi controlli della Gendarmerie senza entrare in città. Tira un bel vento umido dal mare ed il cielo è grigio. Dopo un'altra manciata di chilometri, visto che non potremmo arrivare in serata a Dakhla decidiamo di fare campo e abbandonata la strada verso est cerchiamo un luogo dove accamparci. Il terreno è piatto, non si intravvedono rilievi o rocce che possano servire da riparo. Decidiamo quindi di utilizzare l'auto come frangivento e costruiamo un murettino di pietre per integrare la schermatura. Funziona. Le tende non sbattono troppo e la zona cucina è ben riparata dal tendalino che si rivela fondamentale. Con il buio cala anche il vento, smette di piovere e la serata termina con una buona cena in un silenzio perfetto.
Foto:
Campo a sud di Boujdour - Dakhla (295 km. - Asfalto) 27 dicembre 1989
Sole caldo e non un alito di vento. Colazione ottima ed abbondante al suono della musica classica. Così i tempi della partenza si allungano ma ne vale la pena. La strada percorre scenari sempre più lunari fino a quando arriviamo al posto di blocco posto all’ingresso della penisola. Soliti controlli e poi un militare sale con noi in macchina e ci accompagna alla gendarmeria in città, una trentina di km oltre. La cosa sulle prime ci lascia perplessi ma poi, una volta parlato con un graduato alla gendarmeria, tutto si chiarisce: la pista verso la Mauritania è chiusa a causa di mine. Due giorni prima è saltata per aria una camionetta militare e la consueta carovana scortata che porta in Mauritania è stata sospesa. Facciamo buon viso a cattivo gioco e ci fermiamo per la notte a Dakhla, pernottando in un alberghetto che ha tra i suoi avventori, oltre a noi, solo militari in licenza; ci troviamo infatti nelle retrovie del fronte di quella strana guerra che è quella tra il Marocco ed il Fronte Polisario. L’albergo è lercio, costa niente, ma per fortuna riusciremo ad arrivare alla mattina seguente senza essere infestati dalle piattole.
Dakhla è comunque interessante. E’ vero che abbiamo il divieto di fare foto, ma questo non ci impedisce, arrivato il tramonto, di girovagare per le sue viuzze alla ricerca di un posto dove mangiare qualcosa di diverso dalla solita sbobba cui mi hanno obbligato i miei compagni di viaggio.
Mentre girovaghiamo un po’ come degli alieni tra i rari locali ed i molti militari che affollano le vie, ad un certo punto scorgiamo una infinita coda di militari, tutti allineati in fila per uno che si perde fino ad una lontana porta di un edificio. Da bravi curiosi non resistiamo ed individuato un locale dall’aria simpatica gli chiediamo di che si tratta. Con un sorriso imbarazzato, prima di sgattaiolare via, il nostro interlocutore ci risponde con il breve gesto della mano che in tutto il mondo significa la stessa cosa. Ok, capito. La porta dell’edificio lontano è quella del luogo in cui i militari, dopo mesi di prima linea, finalmente in licenza vanno a sfogare gli istinti repressi. E vista la coda, devono anche sbrigarsi! Certo, la cosa in un paese musulmano lascia perplessi, ma come si dice: a la guerre comme a la guerre.
Noi però eravamo usciti per cercare un luogo in cui mangiare, per cui abbandoniamo i luoghi del peccato e gira e rigira, seguendo una scia di odori culinari, troviamo quello che si rivela un ristorante. Sulle prime si vede solo una gigantesca padella in cui frigge del pesce. Poi nell’oscurità alle spalle del cuoco si intravedono dei tavoli e delle sedie. Contrattiamo il nostro bel pasto e lo azzanniamo mangiando rigorosamente con le mani. Il che, per certi versi, vista la dimensione e l’affilatezza delle spine, è anche un vantaggio. Slalomando elegantemente tra questi puntuti ostacoli gustiamo così un ottimo pesce, prima di rientrare nel nostro rutilante albergo.
Dakhla 28 dicembre 1989
Il giorno seguente ci portiamo più a nord, lungo il mare interno creato dalla penisola. Paesaggio lunare popolato da fenicotteri rosa e con la sabbia formata principalmente da resti di bivalvi sbriciolati dal sole e dal mare. Un posto spettacolare sul quale, ci hanno detto in città, ha messo gli occhi il Club Mediteraneé. Il tempo è variabile ed alterna momenti di sole caldo ad acquazzoni improvvisi. Fortunatamente la direzione del vento è sempre la medesima, soffia dal mare, per cui orientiamo adeguatamente auto, tendalino e tende in modo da non bagnarci come pulcini. Alex e Francesco si prendono il lusso di fare il bagno nella laguna e poi uno parte all’esplorazione della stessa con la bassa marea e l’altro attraversa l’istmo per portarsi sulla costa atlantica. Io li aspetto al campo riposandomi e sprecando un po’ di nastro filmando la laguna e gli uccelli che se ne beano tra una raffica di vento e l’altra.
Foto:
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Alessandro Bellazzi - 06 Jul 2021
Complimenti per il tuo stile narrativo! Rende ancora più interessante la vostra avventura