Attualità Stop alle auto endotermiche: l’Europa piange, la Cina gode! All’orizzonte un China Gate?
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Ormai è ufficiale: per la gioia di “gretini” ambientalisti e dei sostenitori dell’elettrificazione di massa (quelli che di auto non capiscono proprio nulla), dal 2035 non si produrranno più auto endotermiche ma solamente elettriche. Ovviamente per la gioia dei cinesi…

Per tutta questa gentaglia il bando alle endotermiche è una decisione necessaria per ridurre le emissioni di CO2 nell’aria prima che sia troppo tardi. Poco importa se, come sostenuto da diversi esponenti della filiera automobilistica e del Governo italiano in carica, si rischia una catastrofe dell’intero comparto con la perdita di 200.000 posti di lavoro circa e la chiusura di oltre 2.000 aziende. E qualcuno incomincia ad avere qualche dubbio e perplessità di fronte alla decisione di quei fenomeni che riscaldano le poltrone di Bruxelles e Salisburgo incassando lauti stipendi e, probabilmente, bustarelle molto consistenti tanto che, dopo il Qatar Gate, non stupirebbe un China Gate.

Il numero 1 di Stellantis Carlos Tavares, per esempio, anche se il suo gruppo ha accettato di adeguarsi a una decisione imposta dall’alto anticipando al 2030 lo stop alla vendita di auto ICE, è sempre stato critico nei confronti del diktat europeo del 2035: “L’elettrificazione è una tecnologia scelta dai politici, non dall’industria, perché c’erano modi più economici e veloci di ridurre le emissioni. Le decisioni dell’Europa sono state dogmatiche in quanto sono state fatte scelte che non sono tecnologicamente neutrali. Il dogmatismo ci porterà al disastro e causerà molti problemi sociali”.

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Più o meno dello stesso parere è Luca De Meo, numero 1 del Gruppo Renault: “Come gruppo abbiamo deciso di adeguarci alle imposizioni europee, ma continuiamo a chiedere a Bruxelles di spostare lo stop dal 2035 al 2040 perché movimenti così repentini sono difficili da gestire. Dobbiamo evitare un impatto troppo forte su industria e occupazione”.

I dubbi e le perplessità di Tavares e De Meo diventano vere e proprie incazzature per le varie  associazioni di settore. Per ANFIA (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), per esempio, “Il voto del Parlamento UE evince una visione estremamente ideologica, demagogica di un qualcosa che è gestito da chi, evidentemente, non conosce nulla di pianificazione e politica industriale. La scelta delle istituzioni europee è una pericolosa corsa in avanti perché l’Europa non ha ancora le capacità industriali necessarie (ad esempio per la trasformazione delle materie prime in componenti per le batterie) e inoltre non tiene neanche conto dell’infrastrutturazione che ci vuole per far funzionare, con adeguata potenza, le vetture elettriche”.

“Lo stop alle ICE previsto per il 2035 porterà a un aumento esponenziale dei costi di riparazione delle autovetture e a maggiori esborsi sia in capo alle carrozzerie sia per gli automobilisti. Di questo ne è convinto Davide Galli, presidente di Federcarrozzieri, associazione che rappresenta le autocarrozzerie italiane. Che aggiunge: “Le auto elettriche in Italia si vendono poco anche a causa degli elevati costi di acquisto e di gestione che, in caso di guasti o danni che non interessano unicamente la carrozzeria, presentano spese di riparazione sensibilmente più elevate (tra il +18% e il +30%) rispetto alle auto a benzina o diesel. Le auto elettriche, infatti, appena entrano in una carrozzeria devono essere messe in sicurezza, e per fare questo occorre vi sia almeno un addetto abilitato con patentino Pes-Pav, una procedura che inevitabilmente comporta spese maggiori per gli operatori e quindi per gli automobilisti. Poi c’è l’elettronica particolare che caratterizza tali vetture e che determina attività più lunghe (e costose) per smontaggio, rimontaggio, sostituzione, programmazione, ricalibrazione, ecc. Basti pesare che per alcune auto elettriche di nuova generazione si registra un 60% di elettronica in più rispetto alle vetture tradizionali”.

Dal canto suo Federauto (la federazione che raggruppa i concessionari di auto), per spiegare le sue perplessità analizza i numeri che vedono in Italia un parco circolante di 39-40 milioni di vetture di cui 1 auto su 5 ha superato i 20 anni: “Nel 2022 il venduto si è attestato attorno a 1,5 milioni di auto e se il trend, come è probabile, rimarrà questo anche nel 2023 e se pure (per assurdo) tutti i nuovi acquisti fossero nell’elettrico, quanto tempo ci vorrebbe a passare al green? I conti sono presto fatti e la data del 2035 è irrealistica. Non contesto la transizione, ma occorre uscire dalle ideologie e fare i conti con la realtà di un cambiamento complesso che merita un approccio pragmatico e realistico”.

A buon intenditor, poche parole…

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