Classic Volvo e i suoi progetti inediti
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Non tutti i prototipi Volvo hanno anticipato modelli di serie. Alcuni si sono “persi per strada”. Rivisti oggi, sorprendono e non poco…

Avrebbe dovuto essere l’ariete della Volvo per sfondare sul mercato americano, la Philip del settembre 1950. Si chiamava così perché in quegli anni, curiosamente, i prototipi Volvo venivano identificati con i nomi della famiglia reale inglese. Fu l’opera prima di Jan Wilsgaard, incaricato, appena 20enne, di dirigere il design della marca.

Lunga 5 metri e mossa da un V8 di 3.6 litri abbinato a un cambio automatico, venne costruita in un unico esemplare completo in ogni sua parte. Il progetto non ebbe seguito per lasciare priorità e risorse all’evoluzione della PV444. Che fu importata negli Stati Uniti. E li sedusse.

Elizabeth, alias la Regina Elisabetta, “prestò” il proprio nome per questa coupé studiata nel 1953 sulla base di un telaio Volvo PV445 (quello della Duett), disegnata, almeno nelle sue fasi iniziali, da Giovanni Michelotti e costruita a Torino dalla Carrozzeria Allemano.

La direzione aziendale giudicò non idonea l’abitabilità posteriore; un successivo studio, basato questa volta sulla scocca portante della Volvo PV444 e ribattezzato Elizabeth II, che pure aveva in gran parte risolto queste criticità, venne nuovamente accantonato perché sarebbe stato complesso gestire, in parallelo, la sua industrializzazione e quella della Volvo Sport, attesa nel 1956.

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C’era anche una city car elettrica. Ecco la Volvo più piccola mai progettata, che già nei primi anni ’70 affrontava in modo concreto quello che oggi è un tema di assoluta attualità: la mobilità a zero emissioni. Questa city car elettrica sperimentale, con due porte laterali scorrevoli per una superiore agilità nelle strade più strette, aveva due posti, un ampio portellone posteriore e un vano di carico enorme in rapporto alle dimensioni. Era pensata per un impiego misto: tender urbano e veicolo per le consegne.

L’intero perimetro della vettura era percorso da fasce protettive in plastica che prolungavano lateralmente la linea dei paraurti. Poteva raggiungere una velocità di 70 km/h.

L’Experimental Taxi del 1976 fu la risposta della Volvo a un concorso bandito dal MoMa di New York (e da altre istituzioni pubbliche americane) per immaginare l’auto pubblica del domani. La trazione anteriore, la porta laterale destra scorrevole e la soglia da terra molto bassa facilitavano l’ingresso di una sedia a rotelle; il padiglione integrava il sistema di condizionamento dell’aria. Pur molto compatta (appena 4,4 metri di lunghezza) ospitava quattro persone più il conducente. I passeggeri seduti sul divano venivano protetti da una sbarra concettualmente simile a quella delle seggiovie, ma generosamente imbottita, che si abbassava durante la marcia.

Firmata da Marcello Gandini per Bertone, la Volvo Tundra del marzo 1979 fu una proposta dell’atelier piemontese per dare un nuovo corso allo stile della marca.

Era una coupé di classe media che avrebbe trasferito alla produzione di serie qualche idea (i fari a scomparsa, integrati nella Volvo 480 sei anni più tardi) ma che non venne mantenuta nella sua idea complessiva che prevedeva, tra l’altro, un decentramento sul lato destro della calandra,  oltre che il suo spostamento al di sotto della linea dello scudo paraurti.

Per la cronaca, la sua base meccanica era quella della Volvo 343, con motore 1.4 litri, trazione posteriore e cambio al retrotreno in blocco con il differenziale.

LCP, ovvero: Light Component Project. Con questa sigla la Volvo lanciò una serie di veicoli di studio, tra i quali questa LCP2 del giugno 1983, che sperimentavano strategie per il contenimento del peso con largo impiego di alluminio, magnesio e plastica.

Compatta e leggera (700 kg), la LCP2 era una quattro posti dos-à-dos: la fila posteriore era contromarcia e ci si entrava attraverso un portellone che si estendeva fino a comprendere metà del padiglione. Il motore turbodiesel a tre cilindri e il cambio automatico a trasmissione continua erano a loro volta caratteristiche innovative e decisamente fuori dal coro.

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